Che cosa fa
La vitamina D non serve solo a fissare il calcio nelle ossa, una funzione che pure è fondamentale per prevenire il rachitismo nei bambini e l'osteoporosi negli anziani. Nella sua forma attivata, la vitamina D agisce in realtà come un ormone che regola vari organi e sistemi ed è importante nel controllo dell’infiammazione e del sistema immunitario. Una sua carenza è stata associata a diversi tipi di malattie, dal diabete all’infarto, dall'Alzheimer all’asma o alla sclerosi multipla. Più di recente, nel corso della pandemia da Covid-19, nella comunità scientifica si è aperto il dibattito sulla possibilità che una carenza di vitamina D aumenti il rischio di sviluppare forme gravi di infezione da Sars-CoV-2. Al momento però non ci sono evidenze conclusive sull’opportunità di utilizzare integratori di vitamina D contro Covid-19, e lo stesso Ministero della salute ha chiarito che l’utilizzo di vitamina D a tal fine non è raccomandato. Sul tema saranno necessari ulteriori approfondimenti.
Contro i tumori
In studi di laboratorio la vitamina D ha dimostrato di svolgere attività potenzialmente in grado di prevenire o rallentare lo sviluppo del cancro: infatti frena la crescita delle cellule, ne favorisce la differenziazione e la morte programmata (apoptosi), e riduce la formazione di nuovi vasi (angiogenesi).
I risultati dei primi studi epidemiologici avevano suggerito un ruolo protettivo della vitamina D, in seguito all’osservazione di un minor rischio di tumori diversi da quelli della pelle nelle popolazioni più esposte al sole rispetto a quelle che vivono in Paesi con minore irradiazione solare. Ricerche successive, però, che hanno indagato direttamente i livelli di vitamina D del sangue, hanno fornito risultati incerti.
Il grande studio europeo EPIC – alla cui realizzazione hanno partecipato diversi ricercatori sostenuti da AIRC – ha mostrato che le persone con i più alti livelli di questa vitamina nel sangue hanno un rischio di cancro al colon inferiore di circa il 40 per cento rispetto a chi invece ne è carente. Un legame simile sembra esistere anche per altri tipi di tumori. Le ultime ricerche, fra cui un aggiornamento pubblicato su Seminars in Cancer Biology, confermano che i dati più convincenti circa l’azione protettiva della vitamina D riguardano il tumore del colon retto.
Questi risultati, ottenuti in laboratorio, non hanno però trovato una piena conferma nella clinica, ovvero negli studi con i pazienti. Secondo quanto emerso da diverse ricerche, come la Women’s Health Initiative statunitense che ha seguito circa 36.000 donne per una media di sette anni, l'assunzione di supplementi a base di vitamina D non sembra conferire alcun effetto protettivo. Si può quindi ipotizzare che alti livelli di questa vitamina nel sangue non siano direttamente responsabili del minor rischio, ma semplicemente rispecchino abitudini più sane a cui va attribuito il merito di proteggere l'individuo dal cancro.
A oggi, quindi, la relazione tra tumori, vitamina D e sue possibili integrazioni rimane ancora un terreno d’indagine con diversi aspetti da approfondire, perché i risultati non sono univoci.
Recenti studi, per esempio, hanno evidenziato che, sebbene la vitamina D non sembri ridurre in modo significativo il rischio di insorgenza dei tumori, adeguati livelli di questa vitamina nel sangue possono migliorare le possibilità di sopravvivenza in chi si ammala di cancro. L’effetto più importante sarebbe quindi non tanto sull’incidenza dei tumori, ma sulla loro progressione.
Nuove analisi delle ricerche finora condotte, tra cui lo studio VITAL realizzato su oltre 25.000 persone, hanno confermato una moderata riduzione del rischio di metastasi e mortalità per tumori grazie a una supplementazione ottimale di vitamina D. Ma al di là dei casi di carenza grave – chiariscono i ricercatori – non ci sono ancora prove sufficienti per raccomandare l’integrazione generalizzata con vitamina D per migliorare la prognosi dei pazienti.
Come si forma
Il 10-20 per cento del fabbisogno giornaliero di vitamina D proviene dall'alimentazione. I cibi in cui se ne trova di più – oltre a quelli che ne sono arricchiti a livello industriale, come molti cereali per la prima colazione – sono i pesci grassi (come salmone, sgombro e aringa), il tuorlo d'uovo e il fegato.
Tutto il resto si forma nella pelle a partire da un grasso simile al colesterolo che viene trasformato per effetto dell’esposizione ai raggi UVB. Una volta prodotta nella cute o assorbita a livello intestinale, la vitamina D passa nel sangue. Qui una proteina specifica la trasporta fino al fegato e al rene, dove viene attivata.
Come funziona
Della vitamina D si conoscono le proprietà antinfiammatorie e l’azione sul sistema immunitario, ma si sa anche che molti organi e tessuti umani presentano recettori di questa vitamina. Gli scienziati ritengono che svolga un ruolo importante non solo per la salute delle ossa, ma anche per il benessere complessivo dell’organismo, e stanno indagando l’ampio spettro delle sue funzioni.
Per esempio, studi di epigenomica e trascrittomica condotti in laboratorio stanno svelando indizi preziosi sul coinvolgimento della vitamina D nella regolazione di una serie di geni che controllano la proliferazione, la sopravvivenza, la differenziazione e la comunicazione delle cellule tumorali e di altri tipi cellulari. L’azione della vitamina D sembra estendersi anche al microambiente che circonda le cellule tumorali, rendendolo un terreno inospitale al cancro, grazie agli effetti sulla componente immunitaria.
Anche in virtù di questi nuovi orizzonti la vitamina D è oggi considerata uno dei “temi più caldi” della ricerca e della clinica.
Quanta ce ne vuole
Non esistono parametri assoluti: i livelli minimi di concentrazione di vitamina D nel sangue raccomandati dall'Institute of Medicine statunitense sono di 20 nanomoli/litro, ma la maggior parte degli esperti consiglia di non scendere sotto i 30 e altri suggeriscono che si possa già parlare di quantità insufficiente sotto i 50.
Di recente l’Agenzia italiana del farmaco ha aggiornato le indicazioni per la prevenzione e il trattamento della carenza di vitamina D negli adulti, stabilendo che i valori desiderabili rientrano nell’intervallo tra 20 e 40 ng/mL, e considerando invece un campanello d’allarme cui porre rimedio valori inferiori a 20 ng/mL.
In genere, per assicurarsi l'apporto necessario, è sufficiente trascorrere più tempo all’aria aperta.
Tra i neonati e gli anziani, però, che spesso escono poco di casa e si espongono meno dei giovani al sole, un deficit è abbastanza comune. Per questo nel primo anno di vita si somministrano gocce di vitamina D e molti medici ritengono opportuno prescrivere supplementi anche a tutti i loro pazienti oltre una certa età. Tuttavia è importante guardarsi dagli eccessi perché a dosi troppo elevate la vitamina D può essere tossica. Generalmente ciò avviene allorché i livelli circolanti superano i 100 ng/ml. Per evitare ciò, è consigliabile non superare un'assunzione giornaliera di 50 μg/die.
Tutti i benefici della vitamina D